sabato 17 settembre 2005
O Signore, dammi la tua luce perché veda il tuo amore. Dammi un cuore per amarti, dammi occhi per vederti, dammi orecchi per ascoltare la tua voce, dammi labbra per parlare di te, dammi il gusto di assaporarti, dammi l'olfatto per sentire il tuo profumo, dammi mani per toccarti e piedi per seguirti. Era stato vescovo di una cittadina russa, Voronez, ma dopo cinque anni aveva sentito forte il richiamo a ritornare nella vita monastica da cui proveniva e così, anche per la malattia che lo tormentava, si era ritirato nel monastero di Zadonsk, ove morirà nel 1783 a 59 anni. Il suo nome era Tichon e la sua spiritualità era incentrata sul mistero dell'amore di Dio. La preghiera che abbiamo citato ne è una testimonianza dolce e intensa. Tutti i sensi vengono coinvolti nell'adorazione. La sua è una preghiera non eterea e vagamente interiore ma «somatica», capace di toccare cuore, occhi, orecchi, olfatto, gusto, tatto, sulla scia di quanto ammoniva lo stesso s. Paolo: «Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale» (Romani 12, 1). Ma c'è un aspetto biografico curioso in Tichon di Zadonsk: egli aveva un carattere pessimo, collerico, umorale e questo era il suo tormento. Fu proprio attraverso un rigoroso esercizio sui sensi e sulle emozioni che egli riuscì a diventare il maestro dei piccoli e dei miseri, così caro alla povera gente da essere sempre circondato e amato da una folla di persone semplici, ma capace anche di colpire il cuore del grande scrittore Dostoevskij che forse
lo ritrasse nella celebre figura del monaco Zosima dei Fratelli Karamazov. L'ascesi, la formazione, la forza con se stessi può trasfigurare non solo l'anima ma anche il corpo purificandolo.
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