Porte sbarrate e cuori impauriti
giovedì 4 aprile 2024
II domenica di Pasqua - Anno B La sera di quel giorno mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo il segno dei chiodi io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Passa a porte chiuse il Risorto, senza rumore di passi o di chiavi nella serratura, neanche il cigolio di una maniglia; passa attraverso i muri tra cui i discepoli se ne stavano rintanati “per paura”. E cosa si dicevano tra loro, cosa passava nel loro cuore? Dovevano credere a quel che avevano detto loro Maddalena e le altre donne, che invece le loro porte le avevano aperte al mattino presto e, spinte da passi innamorati, si erano recate al sepolcro? E Pietro e Giovanni che dopo la corsa mattutina avevano visto la tomba vuota, possibile che non avessero trovato di meglio da fare che chiudersi in casa con gli altri? Quanto subbuglio nel loro cuore, che frastuono di emozioni, di pensieri contrastanti, un uragano di impressioni e di inquietudini! Arrivano allora come un balsamo le parole di Gesù: “Pace a voi”. Parole ripetute ancora: li conosceva bene i suoi ragazzi, lo sapeva che avevano bisogno di un antidoto alla paura, e cosa è la pace se non il contrario della paura? Lo sapeva che erano pieni di sensi di colpa per i tradimenti, per la solitudine a cui lo avevano abbandonato, per essersene scappati ancora e sempre per paura. E ora, come una carezza, quelle parole “Pace a voi!” come a dire “state tranquilli, quel che è stato è stato, vi voglio ancora bene.” Il soffio su di loro giunge così come il vento a gonfiare le vele, a spazzare la cenere del passato per poter riprendere ad andare: solo chi è stato perdonato può perdonare, solo chi ha vissuto il batticuore dell’essere stato abbracciato dopo uno sbaglio può a sua volta abbracciare. E allora che sia pace davvero, inondata dall’amore. Eppure li ritroviamo otto giorni dopo ancora là, con la porta ben chiusa, immobili e statici come se niente fosse successo e Gesù torna, Lui torna sempre. E questa volta c’è anche il proverbiale Tommaso. Come segno di riconoscimento il Risorto non ha che le ferite, solo queste bastano, agli occhi di Tommaso, per fargli esclamare una dichiarazione di amore: il Dio che mi appartiene è un Dio vivo e ferito. Quanto ci somigliano questi discepoli nel loro aprire e sbarrare porte e cuori, nelle loro paure, nel loro credere a sbalzi e tentoni e se perfino per loro fu difficile credere, la carezza di Gesù è invece tutta per noi: “beati!” Preziose le ferite, grazie a loro Lo riconosciamo anche nella carne e nell’animo straziati degli uomini e delle donne di oggi, segno di un amore che non muore, di un bisogno di risorgere sempre; così preziose che forse saranno anche il nostro distintivo, come in terra così in cielo. (Letture: Atti 4,32-35; Salmo 117; 1 Giovanni 5,1-6; Gv 20,19-31) © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: