martedì 17 dicembre 2002
Con le idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n'aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n'era per disgrazia molte delle storte; e non erano quelle che le fossero meno care. Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi sa sempre essere profondo ed essenziale, anche quando delinea personaggi minori. È il caso di questa pennellata descrittiva che imprime nella memoria donna Prassede, la moglie del "dotto" don Ferrante, custode di Lucia e di sua madre Agnese. In questo profilo, ahimè, quanti si dovrebbero identificare, se solo riuscissero ad averne coscienza: poche idee, serbate con cura e difese con vigore, e in prevalenza "storte" e, proprio per questo, molto "care". Purtroppo chi assomiglia a donna Prassede difficilmente cambierà: l'affetto per le proprie idee è talmente ferreo da non ammettere mai la verifica, il confronto, la critica. Nascono, così, quelle che vengono chiamate "idee fisse", luoghi comuni intoccabili, tutelati con cura e impossibili ad essere scalfiti. Il filosofo danese ottocentesco Soeren Kierkegaard nel suo Diario ammoniva: «Le idee fisse sono come i crampi ai piedi: il rimedio migliore è camminarci sopra». Ma sono pochi coloro che vogliono adattarsi a questo esercizio di fisioterapia della mente. E non illudiamoci di essere immuni da simile sindrome: un po' tutti abbiamo un piccolo spazio del cervello popolato dalle nostre idee fisse e storte, uno spazio a cui non diamo mai un po' d'aria. Un'aria che le faccia vacillare e, forse, le spazzi via.
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