sabato 2 settembre 2006
Non giudicare ciascun giorno in base al raccolto che hai ottenuto, ma dai semi che hai piantato. Accade a tutti di arrivare talora a sera con le mani vuote e con l'anima amareggiata. Forse ci si è mossi tanto, ci si è arrabattati in mille azioni, ci si è dati da fare anche in buona fede e i risultati sono stati insignificanti e persino nulli. Capita spesso di provare questa sensazione di inutilità, talvolta aggravata dal fatto che anche i minimi esiti positivi sono ignorati o snobbati dagli altri. A me e a tutti propongo, allora, per quei giorni che hanno il sapore acre dell'insoddisfazione, questa bella frase di Robert L. Stevenson (1850-1894), sì, il celebre autore dello Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Più che mirare ai frutti che ondeggiano su un albero sontuoso, pensiamo piuttosto al seme che abbiamo deposto. Non di rado, infatti, non abbiamo risultati perché ci siamo solo agitati senza scavare in profondità nel terreno della vita e del mondo. Il seme è l'inizio assoluto e necessario, ma è piccolo e nascosto e dev'essere curato con pazienza e amore perché sassi, rovi e animali lo possono rendere sterile. Il modesto e nascosto lavoro di tanti genitori, la generosità nel volontariato di tanti giovani, l'impegno quotidiano di tante persone sono proprio questo «piantar semi». Il raccolto non è subito visibile; la costanza e l'attesa sono leggi dello spirito insuperabili. Anche il contadino deve attendere il fluire delle stagioni e la madre lo scorrere dei nove mesi. Ma se hai seminato con amore, alla fine un frutto ci sarà, anche se tu non lo potrai gustare. Sarà Dio a raccoglierlo.
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