sabato 21 dicembre 2019
Nel 1988, intervistando per "Avvenire" Madre Teresa di Calcutta, le chiesi se non sentisse come una discriminazione il fatto che, in quanto donna, le fosse precluso l'accesso al sacerdozio. Era un tempo in cui la questione era molto dibattuta, anche perché in quello stesso anno, un paio di mesi prima, la conferenza anglicana di Lambeth aveva aperto le sue porte alle donne prete. La risposta di Madre Teresa fu secca: no – disse –, non mi sento discriminata, anche Maria, la Madre di Gesù, è sempre rimasta l'ancella del Signore e niente altro. Una risposta con tanta consapevolezza e tanta teologia, nella quale in sostanza Madre Teresa affermava che, così come per la Madonna, non era attraverso il riconoscimento o meno di una funzione che si stabilisce l'importanza di una presenza nella Chiesa.
Una verità molto semplice, che torna utile ricordare nel momento in cui papa Francesco, come al solito esponendosi agli attacchi di chi si diverte a dargli dell'eretico ogni volta che apre bocca, ha "chiuso la porta", per così dire, alla richiesta avanzata da due cardinali – il messicano Juan Sandoval e l'indiano Telesphore Toppo – e quattro vescovi di proclamare il dogma di Maria "corredentrice", ovvero affermare come verità di fede che la Madonna condivide con Gesù la potestà di redimere l'umanità dal peccato. Si tratta di una questione che, come un fiume carsico, scorre da tempo immemorabile sottoterra nel dibattito teologico e che solo di tanto in tanto arriva in superficie, come è successo in particolare negli ultimi due secoli. Una proposta in quella direzione fu avanzata al Concilio Vaticano I, e alcuni vescovi fecero la stessa cosa al Vaticano Il, ma nessun Papa ha mai dato seguito alla cosa. Neppure Giovanni Paolo II, considerato il Papa "mariano" per eccellenza, che pure in più occasioni definì Maria «corredentrice», come prima di lui avevano fatto Pio XI e Pio XII.
E, come detto prima, anche questa volta, davanti al riemergere del fiume carsico di cui sopra, un Papa è tornato a dire di no. E in termini che hanno il chiaro sapore del definitivo. Celebrando il 12 dicembre la Messa nella ricorrenza liturgica della Vergine di Guadalupe, apparsa nel 1531 a Juan Diego Cuauhtlatoatzin, le parole di Bergoglio a proposito degli attribuiti a Maria non hanno lasciato spazio a dubbi: «San Bernardo ci diceva che parlando di Maria non basta mai lodarla, ma non si è mai messo in discussione il suo umile essere discepola, fedele al suo maestro che è anche suo figlio, unico redentore: mai ha voluto per sé prendere qualcosa di suo figlio, mai si è presentata come corredentrice, ma come una discepola. Più importante il discepolato che la maternità? No, non ha mai rubato per sé qualcosa di suo figlio perché è madre. Maria è nostra madre, madre del nostro popolo, madre di tutti noi, madre della Chiesa, ma è anche figura della Chiesa, è madre del nostro cuore. Alcuni padri della Chiesa dicono che quello che si dice di Maria si può dire della Chiesa, che è femminile, e la nostra anima ha quella capacità di ricevere da Dio quella grazia che i padri vedevano come femminile. Non possiamo pensare alla Chiesa senza questo principio mariano. Quando cerchiamo il ruolo della donna nella Chiesa si cerca la via della funzionalità, ma questo ci lascia a metà strada: la donna nella Chiesa va oltre quel principio, è mariano, è santa madre Chiesa. Senza un altro titolo essenziale – pensiamo alle litanie, titoli di innamorati che cantano – non toccano l'essenzialità di Maria, donna e madre, questo è l'importante... Quando vengono con storie che bisogna dichiararla questo o quest'altro, bisogna darle nuove dogmi, non perdiamo tempo in queste storie». Niente altro, perché non ce n'è bisogno. Non servono altri titoli per dire la grandezza di Maria.
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