sabato 29 ottobre 2005
Gli uomini saggi sono sempre veritieri sia nella loro condotta sia nei loro discorsi. Non dicono tutto quello che pensano ma pensano tutto quello che dicono. C'è un detto giudaico che mi è sempre piaciuto e che ho citato anche qualche settimana fa: «Il sapiente sa quel che dice; lo stupido dice quello che sa». Anche lo scrittore tedesco settecentesco Ephraim G. Lessing nel suo Manuale di morale ci ha lasciato un monito parallelo.
Potremmo così variarlo sulla scia dell'aforisma prima citato: «Il sapiente pensa tutto quello che dice; lo stupido dice tutto quello che pensa». Parole sacrosante ieri e oggi: basta solo aprire la televisione per vedere come domini la seconda parte della frase. Una valanga di stupidità, di chiacchiere, di pensieri vani e fatui eruttano da un'interiorità sempre più intisichita, prossima a identificarsi con la superficie, con l'esteriorità. Ora io vorrei però mettere l'accento su un altro aspetto, quello della sincerità. A prima vista questa è una virtù da lodare ed è naturale che così avvenga contro ogni falsità, ipocrisia, doppiezza e slealtà. Tuttavia c'è una sincerità che si rivela non solo come ingenuità o dabbenaggine e imperizia, ma anche come immaturità, imprudenza, stupidità vera e propria, svelamento della vacuità interiore. In questa luce vale la lezione di Lessing: essere «veritieri nella condotta e nei discorsi» vale solo quando si ha una formazione e una ricchezza interiore, ossia quando si è saggi. Altrimenti è solo un espettorare banalità, insulsaggini, scemenze e volgarità. Il pensare e il dire sono, quindi, correlati e senza un autentico e sostanzioso pensiero, il silenzio è d'oro (cosa che, ahimè, non accade).
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