sabato 4 luglio 2020
Il "partito della pagnotta" può essere considerato, per molti versi, l'erede diretto del motto latino panem et circenses. Come infatti con questa locuzione gli antichi romani intendevano significare che, per controllare il popolo, è sufficiente riempirgli la pancia e farlo divertire, nella versione moderna della stessa è sottinteso lo stesso significato, ma in versione, per così dire, "democratica", ossia in un contesto in cui governanti e popolo sono la stessa cosa. Nel partito della pagnotta – pagnotta che in realtà è un paniere da riempire con tutto ciò che la fantasia suggerisce – chiunque può fare carriera, basta spararle abbastanza grosse. E se molti preferiscono restare dall'altra parte, ossia dalla parte del "popolo", è solo perché in questo modo resta intatta la possibilità di accusare qualcuno quando le cose dovessero andare male. Piove, governo ladro!
Un po' si scherza, ma neppure tanto. Perché in tutto questo c'è un aspetto che per i cristiani deve fare – eccome – la differenza. Francesco l'ha ricordato a inizio settimana, nel giorno della festa dei santi Pietro e Paolo, sottolineando come al momento dell'arresto di Pietro «nessuno si dà alla fuga, nessuno pensa a salvarsi la pelle, nessuno abbandona gli altri, ma tutti pregano insieme... Nessuno si lamenta del male, delle persecuzioni, di Erode. Nessuno insulta Erode, e noi siamo tanto abituati a insultare, i responsabili... Questo governante... i qualificativi sono tanti, io non li dirò perché questo non è il momento né il posto per dire i qualificativi che si sentono contro i governanti. Che li giudichi Dio. Ma preghiamo per i governanti, hanno bisogno della preghiera. È un compito che il Signore ci affida. Lo facciamo? Oppure parliamo, insultiamo e basta? Dio si attende che quando preghiamo ci ricordiamo di chi non la pensa come noi, di chi ci ha chiuso la porta in faccia, di chi fatichiamo a perdonare».
Già, noi quali siamo? Quelli che pregano o quelli che insultano? Quando i cristiani del tempo pregavano per Pietro «nessuno diceva: "Se Pietro fosse stato più cauto, non saremmo in questa situazione". Umanamente Pietro aveva motivi di essere criticato. Non sparlavano di lui, ma pregavano per lui. Non parlavano alle spalle, ma parlavano a Dio». Infatti per i cristiani «è inutile, e pure noioso» sprecare tempo «a lamentarsi del mondo, della società, di quello che non va», in quanto è del tutto evidente che «le lamentele non cambiano nulla», mentre se pregassimo «tante porte che separano si aprirebbero, tante catene che paralizzano cadrebbero».
Insomma, quello di cui soprattutto oggi abbiamo bisogno è «di profezia, di profezia vera: non di parolai che promettono l'impossibile, ma di testimonianze che il Vangelo è possibile. A me fa dolore quando sento proclamare: "Vogliamo una chiesa profetica". Cosa fai perché la Chiesa sia profetica? Servono vite che manifestano il miracolo dell'amore di Dio. Non potenza, ma coerenza. Non parole, ma preghiera. Non proclami, ma servizio. Non teoria, ma testimonianza. Non abbiamo bisogno di essere ricchi, ma di amare i poveri; non di guadagnare per noi, ma di spenderci per gli altri; non del consenso del mondo, di stare bene con tutti. Da noi si dice "stare bene con Dio e col diavolo"... Ma abbiamo bisogno della gioia per il mondo che verrà; non di progetti pastorali efficienti, che sembrano avere la propria efficacia come dei sacramenti, ma abbiamo bisogno di pastori che offrono la vita, di innamorati di Dio». Certo, arruolarsi nel partito della pagnotta è molto più facile, non si rischia nulla e soprattutto non si rischia il martirio, che è sempre scomodo. Ma il fatto è che è la profezia a cambiare la storia, non le chiacchiere né le lamentazioni, né gli insulti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI