domenica 11 marzo 2007
Persino quando si è sul banco degli accusati, è sempre interessante sentir parlare di sé. Se vuoi che la gente pensi bene di te, non parlare bene di te stesso. Prima di attribuire ai loro autori le due citazioni che oggi propongo, vorrei evocare un raccontino ironico ebraico. Un santo rabbì sta chiudendo i suoi giorni sul suo letto: accanto a lui i discepoli e sua moglie. Egli ha gli occhi chiusi ma la mente è ancora ben vigile e segue i discorsi di coloro che lo circondano. Uno loda la sua bontà, un altro la sua generosità, un altro ancora la sua sapienza; c'è chi esalta la sua giustizia e chi la sua pietà o la sua temperanza. Alla fine i discepoli se ne vanno e la moglie s'accorge che il rabbì si agita. Accosta l'orecchio e sente che il moribondo con un fil di voce ma con stizza dice: «Ma nessuno ha parlato della mia grande umiltà!». Esaltare se stessi, pensare solo a se stessi, celebrare le proprie opere, coltivare un Io smisurato è la grande tentazione che affiora in mille modi e che sboccia da quel peccato fondamentale che è la superbia. Sopra abbiamo accostato due frasi analoghe. La prima è tratta dal romanzo Lo straniero (1942) di Albert Camus: il protagonista Meursault durante il processo che lo condannerà alla ghigliottina sente difensori e accusatori parlare della sua vicenda di assassino e si lascia conquistare da questo interesse attorno alla sua persona. Anche nel pericolo, l'uomo non cessa di mettersi al centro. Ma concludiamo con l'altra frase: è un consiglio del grande Pascal che invita tutti alla modestia e all'umiltà, la qualità che si possiede veramente quando non si è convinti di averla.
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