giovedì 7 ottobre 2004
Ci sono uomini di Chiesa che propongono una visione etico-moralistica della castità, impoverendone il valore simbolico. Impediscono, così, l"insorgere di quello spaesamento che invita perfino gli estranei a domandarsi: «" E se vi fosse dell"altro?». Vi sono uomini che lo testimoniano nella loro carne secondo le antiche parole: «Tu hai già preso possesso delle mie viscere». E non sono folli, sono amanti. Amanti di Dio.Anni fa sul nostro giornale un filosofo non credente ma di grande finezza e intelligenza spirituale, Salvatore Natoli, tenne a lungo una rubrica settimanale, raccolta poi nel volume Dizionario dei vizi e delle virtù (Feltrinelli 1996). Ritrovo casualmente quel libretto e m"imbatto nelle pagine dedicate alla castità. Ne cito il bellissimo finale, consapevole che esso meriti attenzione, soprattutto nei nostri giorni così sguaiati a livello sessuale, come appare " per esempio " a ogni colpo di telecomando. La castità, se si riaffaccia, è per essere sbeffeggiata o usata come una moda da praticare in forma banale e fin irrisoria (e per poco"). Certo, l"amico Natoli ha ragione nel denunciare una visione talora moralistica del celibato e della verginità, introdotta anche da un certo ascetismo puritano. La vera castità, infatti, non è mera astinenza sessuale ma donazione totale di sé, anima e corpo, a Dio e ai fratelli. E" il tentativo di far tendere l"intera esistenza verso la pienezza dell"amore, verso la trascendenza, in un"offerta assoluta e radicale di sé. Non è follia, è amore puro e integrale. E" per questo che chi ha questa chiamata e la vive in modo genuino diventa un segno di luce per gli altri, una sorgente di calore, e non l"espressione fredda di una rinunzia.
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