venerdì 25 novembre 2011
Ci riconciliamo con un nemico che ci è inferiore per qualità o di cuore o di spirito. Ma non perdoniamo mai a chi ci supera nell'anima e nel genio.


È sferzante ma inoppugnabile questa considerazione dello scrittore francese François René de Chateaubriand (1786-1848), chiamato l'enchanteur per la sua capacità di incanto attraverso una parola fremente e lirica che ne dilatava gli echi e ne ingigantiva il messaggio. In questa osservazione — ad essere sinceri — siamo un po' tutti coinvolti. La nostra superiorità nei confronti di un poveraccio si trasforma in generosità, che alla fine è un'ulteriore carezza al nostro Io. Ben diverso è il nostro atteggiamento quando ci scontriamo con chi è evidentemente più intelligente e umanamente più alto di noi. Scatta in quel momento il gusto della rivalsa che è alimentato dal vizio capitale dell'invidia e che si àncora a quell'altro fondamentale vizio che è la superbia.
Se vogliamo andare oltre i confini della rilevazione di Chateaubriand, proviamo a immaginare due situazioni. La prima è quella di un amico che è caduto in basso e si trascina ormai nella miseria e nella sofferenza. Come è spontaneo mettergli il braccio sulle spalle per sorreggerlo e confortarlo! Ma pensiamo a un'altra scena. Un amico è salito alla ribalta, il successo lo sta baciando, i suoi meriti sono evidenti e riconosciuti. E noi siamo là, in platea, costretti ad applaudirlo a denti stretti e col volto verde di gelosia. Per questo la cartina di tornasole di una vera amicizia è forse unica: gioire sinceramente per la gloria dell'amico.
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