lunedì 25 aprile 2005
Non mi spinge, mio Dio, a volerti bene/ la tua promessa di un cielo per me"/ Mi muovi Tu: le tue membra contorte/ in croce, Signore, Tu inchiodato, schernito;/ vedere il tuo corpo a tal punto ferito,/ Tu insultato, mi muove la tua morte.
Nel 1998 la Jaca Book pubblicava, col titolo Il Sabato della storia, le meditazioni del Venerdì e Sabato santo tenute dall'allora teologo Joseph Ratzinger nel 1967 alla radio bavarese. In apertura a queste riflessioni l'autore citava questi versi di un poeta spagnolo del XVI sec., Miguel de Guevara. Sappiamo che Benedetto XVI ama la musica e la poesia (citava, ad esempio, nei suoi molti saggi teologici Claudel, Péguy, Hölderlin, Goethe e così via). Queste righe poetiche ci rivelano anche la temperie mistica del Papa e ci spingono a una riflessione forte che poniamo in apertura al suo cammino papale.L'amore, che è l'anima della fede, non può nascere dalla paura: anzi, l'amore scaccia il timore. L'amore non sboccia neppure dalla ricompensa: sarebbe interessato e, come tale, solo una scimmiottatura del vero amore. L'amore fiorisce soltanto in un dialogo di donazione. È di fronte a chi si dona totalmente a te che tu sei invitato a rispondere con un abbraccio, un abbandonarti gioioso e sereno all'altro. La fede non è imposizione, non è guadagno, è una risposta d'amore, libera e disinteressata. Non è forse vero - osservava il teologo Ratzinger - che «Dio ha creato un mondo del quale Egli, in quanto Dio, non ha bisogno?». La creazione è quasi un "ritirarsi" di Dio per lasciare spazio a un interlocutore da amare, è un atto di libertà e di generosità che giunge fino all'estremo abbraccio dell'Incarnazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: