venerdì 20 giugno 2003
La malinconia cronica si sta impadronendo della razza civilizzata col declinare della fede in un potere benefico.
Se c'è un inferno sulla terra, va cercato nel cuore dell'uomo melanconico. Qualche tempo fa ho letto, per recensirla, la versione di una sorta di lettera aperta che il grande Padre della Chiesa san Giovanni Crisostomo aveva indirizzato a un amico, Stagirio, «tormentato da un demone» (ed. Città Nuova). Sapete qual era questo "demone"? La depressione o malinconia, una sindrome che noi crediamo solo legata allo stress contemporaneo, ma che in verità colpiva anche il monaco che viveva nelle solitudini quiete del deserto o dei conventi. In quell'occasione sono andato a cercare qualche testimonianza moderna su questo morbo interiore che genera apatia, nausea, inerzia, infelicità. Ho, così, trovato le due citazioni che oggi propongo alla meditazione comune. La prima è tratta da un romanzo dello scrittore inglese Thomas Hardy, Tess dei D'Urbervilles (1891), divenuto anche un film di Roman Polanski (1979). Il "declino della fede" in un Dio che può stenderti la mano, anche quando ti sembra che tutte le altre mani si sono ritirate, genera quella sfiducia che deprime il cuore. Aggrapparsi a Dio con la forza della speranza è, quindi, l'estrema sponda. Non per nulla nel testo sopra citato san Giovanni Crisostomo dichiarava che «ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la disperazione». E qui viene bene la seconda citazione desunta dall'Anatomia della malinconia (1621) di un altro scrittore inglese, Richard Burton: la depressione è l'inferno in terra. Ci vuole molta fede e molto amore per cercare di estrarre chi soffre da quell'abisso"
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: