martedì 22 febbraio 2005
A un tratto, in fondo, vidi una luce abbagliante che mi volava incontro a velocità folle. «Dove mi porti, Gesù?», mi parve di aver sussurrato in quella vertiginosa ebbrezza. «Nella casa del Padre», mi sentii rispondere. Un attimo dopo vidi ch'era vero. Da allora vivo là, perfettamente felice. Dieci anni fa moriva lo scrittore Italo Alighiero Chiusano, una figura a me cara sia per le sue opere sia per l'amicizia che avevo intrecciato con lui e che era stata esplicitata nel suo desiderio di avere me come "prefatore" alla sua intensa raccolta di Preghiere selvatiche. Lo voglio ricordare con le righe sopra citate con le quali Chiusano immagina la morte della martire Perpetua, quasi volendo augurare a se stesso un simile incontro con quel mistero che ci attende alla frontiera ultima della vita terrena. La quaresima, infatti, tempo di serietà e sobrietà, potrebbe essere l'occasione di una sosta per interrogarci sui temi ultimi, spesso coperti sotto il manto delle troppe cose secondarie e banali. Mettersi dall'angolo di visuale della morte relativizza tante realtà che consideriamo capitali e decisive, sospende rancori e rimostranze, demolisce illusioni. Questa è la funzione purificatrice e liberatrice della meditazione sulla nostra fine terrena. Ma c'è un aspetto specifico sul quale tutte le religioni e in particolare il cristianesimo hanno posto l'accento: la morte non è un salto nel buio, un estuario verso il nulla, un dissolvimento nella polvere. È una soglia aperta oltre il tempo e lo spazio e là si compie un abbraccio con quel Creatore dalle cui mani siamo usciti. È l'immagine finale del Deserto dei Tartari di Buzzati: «Il maggiore Drogo fece forza contro il portale nero e si accorse che i battenti cedevano, aprendo il passo alla luce».
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