giovedì 12 giugno 2014

C’era forse la Trinità tricefala sopra il volto estatico di Gesù nella Cena di Emmaus del Pontormo, un’immagine inconsueta ma non rara per esprimere il Mistero della Trinità. Questa, proibita nel periodo della Controriforma, pare esser stata sostituita da Jacopo da Empoli con quella più accettata del triangolo.
Il triangolo equilatero, dagli angoli identici e col riferimento al 3, numero della perfezione, è fin dal medioevo uno dei simboli privilegiati per dire il Mistero della Trinità. Nella cultura ebraica, come del resto nella tradizione pitagorica, il triangolo che da base larga tende verso l’apice, simboleggia l’ascesa dal molteplice all’Uno. Quando poi è circondato da raggi e ha al centro l’occhio, come nel caso dell’opera del Pontormo, il riferimento è alla provvidenza divina che nella Trinità trova la sua espressione massima. L’occhio del Dio trino scruta il cuore dell’uomo, non per un giudizio, ma per soccorrerlo nei suoi bisogni, prima ancora che siano manifestati.
Eppure questo simbolo è diventato ormai appannaggio della massoneria, e i cultori della teoria del complotto lo individuano ovunque. Famosa è l’interpretazione del rovescio del dollaro: lì il triangolo con l’occhio sarebbe, per alcuni, un chiaro riferimento al dominio massonico dell’economia americana. Peccato che il simbolo sia stato progettato dall’artista ginevrino Pierre Eugene du Simitiere, nel 1776 e scelto poi come stemma degli USA nel 1782, molto prima, quindi, che la massoneria (nel 1797) adottasse ufficialmente l’emblema.
La tela del Pontormo, una delle poche firmate e datate, era stata progettata per il refettorio della Certosa di Galluzzo, nei pressi di Firenze, dove l’artista si era rifugiato nel 1523 per scampare alla peste, vivendo da monaco. È singolare, oltre che insolito, il riferimento alla Trinità entro la cena di Emmaus. E che fosse il volto trifronte o l’occhio della provvidenza poco importa, il Pontormo volle forse testimoniare, in quel luogo, l’esperienza personale dello sguardo divino su di sé. La forzata vita da monaco risultò, infatti, quanto mai consona all’artista che, dopo quella vita certosina, maturò una singolare percezione del divino in tutte le cose.
Un’analoga percezione la troviamo anche in Marc Chagall, artista ebreo vissuto nel secolo scorso. Ne «La casa dall’occhio verde», una tela pensata nel 1926 per la pubblicità di una marca di latte, ma poi rielaborata nel 1944 durante la seconda guerra mondiale, l’artista rievoca la tranquillità e la dolcezza di Vitebsk, sua città natale. Qui una donna, simile in tutto alla madre dell’artista ritratta né «Io e il Villaggio», sprofondata in un panorama agreste e verdeggiante, sta mungendo la mucchetta di famiglia. La scena sollecita all’artista la memoria forte dello sguardo provvidente di Dio sopra ogni cosa, soprattutto sopra di sé, tanto da indurlo a dipingere sul frontespizio della casa, entro l’ideale triangolo del tetto, un enorme e benevolo occhio divino.
Purtroppo la certezza di questo sguardo benevolo di Dio, che faceva scrivere a Guareschi: «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no», è caduta così fortemente in disgrazia per l’uomo post moderno da farlo precipitare nella percezione opposta. Oggi vige un politically correct che obbliga a comportamenti dove pare che, nella vita del cittadino, tutti ci possano vedere tranne Dio.
Immagini Jacopo Carrucci detto il Pontormo, Cena in Emmaus, 1525, olio su tela 230 cm × 173 cm, Uffizi, Firenze. Marc Chagall, L'occhio verde, 1926-1944, Olio su tela 58X51cm, Collezione privata


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