giovedì 23 agosto 2007
Non leggete il libro di Giobbe o i Profeti o l'Idiota di Dostoevskij, se subito dopo intendete tornare alle vostre mode. Lasciateli piuttosto al futuro oppure al silenzio delle biblioteche.
Non ci crederete, ma a pronunziare queste parole è stato Lenin e, lasciandole come un appello, diceva una verità sacrosanta. Ci sono alcuni libri che hanno pagine di fuoco, prime tra tutte le opere sacre. È come maneggiare ferro rovente, non ci si può non scottare; dalla loro lettura non si può e non si deve uscire indenni, non si può
riprendere la vita come prima senza un fremito e un sussulto. Se anche in questi giorni di quiete, di fronte alle Scritture o ai grandi capolavori dell'umanità, reagite solo sbadigliando e non perché siete affaticati ma soltanto perché non vi dicono
nulla, cominciate allora a preoccuparvi perché è segno che la superficialità televisiva vi sta annebbiando l'anima.
Una poetessa ebrea tedesca, Nelly Sachs (1891-1970), Nobel 1966 della letteratura, scriveva: «Se i profeti irrompessero per le porte della notte, incidendo ferite di parole nei campi dell'abitudine", se i profeti irrompessero per le porte della notte, cercando un orecchio come patria, orecchio degli uomini, ostruito di ortiche, sapresti ascoltare?». Sì, abbiamo orecchi colmi di rumori e di chiacchiere, il palato rovinato da banalità insipide, gli occhi sporcati da immagini brutte e volgari, e allora le grandi parole e le visioni sublimi le releghiamo in un futuro lontano o le chiudiamo negli spazi polverosi d'una biblioteca o di un museo. Eppure quella verità e quella bellezza ci è necessaria come il pane.
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