mercoledì 31 ottobre 2007
La malattia del nostro tempo è la superiorità. Ci sono più santi che nicchie.
È sferzante questa battuta del famoso romanziere francese Honoré de Balzac, presente nella sua opera Il medico di campagna (1833). La superiorità, icasticamente rappresentata dal fariseo della celebre parabola evangelica, in realtà non è una malattia di un'epoca, è una costante della storia. Anche ai nostri giorni sono certamente di più i candidati alla gloria degli altari, che si ritengono degni di tale riconoscimento, rispetto alle nicchie preparate da Dio, l'unico che scruta in profondità e assoluta verità, cuori e anime. Certo, questo non toglie che molti siano da collocare in quegli spazi di venerazione, come insegna la festa che domani celebreremo. Tuttavia in questo ambito non vale l'auto-candidatura o la promozione pubblicitaria o il curriculum allegato.
Ma ritorniamo sul tema della frase di Balzac, la superiorità, che è un altro nome della superbia, il vizio capitale principe e signore di tutta la sequenza dei peccati. Essa si protende, spesso in modo nascosto e surrettizio (l'ostentazione è troppo a rischio di sarcasmo), verso la supremazia, il predominio, la preminenza, l'egemonia e lo fa ricorrendo a tutti i mezzi. Si pensi solo a cosa si è pronti a fare per una carriera. Ogni ostacolo ti inquieta e non ti dà pace finché non l'hai eliminato in modo legittimo o illecito. Un altro francese, il grande drammaturgo Racine, aveva coniato quest'altra battuta: «Un vizir fa sempre ombra al sultano». La superiorità, infatti, è incontentabile e implacabile. Ma spesso la realtà della vita non potendo far diventare umili i superbi, li rende umiliati dagli eventi inattesi.
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