venerdì 29 dicembre 2006
Le famiglie felici si somigliano tutte; le famiglie infelici sono infelici ciascuna a modo suo. Domani la liturgia propone la festa della Santa Famiglia. Una certa oleografia (penso, ad esempio, a una tela del Murillo, reiterata in mille copie) la presenta come un delizioso quadretto di luminosa serenità, un po' come accade alla "posa" di certe fotografie nuziali. In realtà, se stiamo ai Vangeli, le vicende della famiglia di Nazaret non furono né quiete né "domestiche", fin dagli inizi. Proprio su questa rappresentazione tutt'altro che idilliaca, ho voluto proporre una frase che m'è rimasta in mente da sempre, dalla lettura di quel grandioso romanzo che è l'Anna Karenina di Tolstoj, un testo che scava in profondità i drammi della coppia, in particolare quelli di Anna e di Vronskij (ma non solo: c'è anche la difficile vicenda matrimoniale del fratello di Anna e quella di un'altra coppia, Kitty e Levin). Il grande scrittore russo, sulla base anche della sua esperienza personale, ci ricorda che, se la felicità ha una sua semplicità, l'infelicità familiare ha una complessità che esige un'attenzione specifica. L'esito del romanzo, come è noto, è tragico perché il suicidio della Karenina suggella un rapporto tormentato e lacerante. È, dunque, importante affrontare la crisi di coppia mai con superficialità, né è giusto lasciare sola una famiglia in difficoltà. Ogni vicenda in questo ambito ha una sua identità: non si può ricorrere a schemi psico-sociologici, è necessario coinvolgere tutte le energie interne ed esterne, bisogna con pazienza e amore ritessere le fila degli squarci, non si deve risparmiare tempo e ascolto. Ed è solo con questo realismo intrecciato alla delicatezza che si ricostruisce l'unità, senza lasciarsi andare subito verso la deriva dello scoraggiamento o dell'atteggiamento dimissionario.
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