La vera sfida social: raggiungere la «maggioranza silenziosa»
venerdì 6 luglio 2018

Se nelle ultime settimane non avete litigato con un amico social o almeno non avete avuto la tentazione di farlo, i casi sono due: o non siete italiani o non vivete in Italia. Qualunque sia il vostro orientamento, ormai una larga fetta del tempo che passiamo sui social è dedicato a commentare o condividere post a contenuto politico o soltanto a cercare di proteggerci dalla quantità industriale di materiale di questo tipo prodotto dagli altri.
Si dice che buona parte del consenso politico ormai si crei sui social, e in parte ciò è vero. Ma cercare di contrastare gli avversari usando sui social le loro stesse armi di propaganda (della serie: «condividi, se sei indignato») serve soltanto a polarizzare la discussione, arruolando le persone sotto questa o quella bandiera come se fossimo i peggiori tifosi della peggiore partita di calcio. Nonostante tutte le nostre migliori intenzioni ci accorgiamo sempre più spesso che tutto questo litigare non porta a confronti pur accesi ma di valore, ma solo a «risse digitali» che inquinano i rapporti umani, le menti e i cuori. E dove vince chi la spara più grossa, lasciando sul campo solo macerie.
Ce lo diciamo da anni. Vince chi urla di più. E a furia di litigare, complici i «bias cognitivi» (cioè gli "errori" della nostra mente – nessuno escluso – che ci portano a leggere in maniera distorta delle informazioni) tendiamo sempre di più a chiuderci nelle nostre «certezze», incuranti che siano davvero fondate e arrivando persino a negare l'evidenza.
Il «percepito» ormai sembra valere più del reale. E l'unica cosa che sembra ormai contare è avere ragione a tutti i costi. Come cantava Gaber: «Mi fanno male quelli che credono di essere il centro del mondo e non sanno che il centro del mondo sono io».
Già: innanzitutto ci sono io, esisto io. Per cui l'unica realtà valida è solo quella che vedo io. E non ne esistono altre. Poi ci siamo noi, inteso come i miei familiari e i miei amici (alcuni anche social) e la nostra realtà comune, soltanto però se è uguale alla mia. Altrimenti, sono un po' meno amici e un po' meno familiari. Se poi non mi danno abbastanza frequentemente ragione, gli tolgo la voce, «li banno».
Un modo per fare gruppo sui social è indignarsi insieme per qualcosa, ancor meglio se contro qualcuno. Come se in questo modo la rabbia che riversiamo migliorasse davvero le nostre vite e il nostro benessere fisico. Non c'è persona o azione altrui che possa salvarsi. Non c'è idea altrui che non possa indignare o generare commenti pesantissimi. Chi non è con me, è per forza un mio nemico. E poi tutti gli altri rubano. Tutti gli altri sbagliano. Tutti gli altri sono manipolati. Tutti gli altri sono stupidi e ignoranti. E se il mondo va così male la colpa è sicuramente degli altri. Con gli altri – con i «nemici» – ovviamente non si dialoga, ci si può solo litigare. Con conseguenti cancellazioni di «amici», aumenti di acidità gastrica e di pressione e tanta rabbia e/o amarezza come se fossimo ogni giorno sulle barricate a combattere una guerra.
A furia di vedere solo nemici, ci siamo convinti che l'unica difesa possibile di tutto ciò che crediamo buono sia attaccare gli altri. Ma così facendo ci dimentichiamo che sui social vive anche una «maggioranza silenziosa». Cioè, tutte quelle persone che non commentano e magari non mettono «mi piace» sotto ai nostri post, ma leggono, esistono e pensano. A loro non servono le nostre liti o le nostre invettive. A loro servono ragionamenti e contenuti di qualità. Solo così possiamo aiutarli a trovare la voce. E per farlo dobbiamo abbandonare gli slogan.
Lo so che è difficile. Ma dobbiamo incominciare a capire che certi trucchi comunicativi servono soltanto a galvanizzare quelli che sono già convinti e che non cambieranno idea nemmeno dopo mille, duemila, centomila liti. Prima o poi dovremo trovare anche il modo giusto per dialogare anche con chi non ci vuole ascoltare, ma nel frattempo ogni volta che vi viene voglia di attaccare qualcuno sui social, create un post di valore per chi se lo merita davvero.

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