sabato 26 febbraio 2022
A rileggere, oggi, il Manifesto del Futurismo, del 1909, la prima cosa che ti viene in mente è che Filippo Tommaso Marinetti, quando lo scrisse, non stesse troppo bene. Ma proprio per niente. Lo si capisce anche solo considerando, tra le molte amenità del testo, quelle degli articoli 9 e 10: «Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria». Per quanto deliranti possano apparire tali affermazioni, non sono archiviabili nella cartella “neurodeliri”. Perché sappiamo bene che ancora oggi c'è chi la pensa così, e non sono pochi. E sono trasversali, nel senso che non è solo retaggio dei nostalgici del fascismo, che dal Manifesto attinse a piene mani, ma si infiltrano, ora questo e ora quello, un po' dappertutto.
L'idea, per esempio, della guerra come “igiene dei popoli”, ossia come occasione per un rinnovamento radicale, sembra essere dura a morire. Salvo che i milioni di morti non si rinnovano, si seppelliscono e basta, senza neppure tenerne il conto. Per correggere questa rotta, non sono bastati due conflitti mondiali, e poi la Corea, il Vietnam, i Balcani, l'Afghanistan, l'Iraq; e la “terza guerra mondiale a pezzi”, secondo la definizione di Papa Francesco, che si combatte ogni giorno, si è accesa adesso di nuovo in Europa. Si insiste ad affidare alla guerra la soluzione di tutto, quando abbiamo imparato tutti, o almeno avrebbe dovuto, che non è vero. Bergoglio l'ha ripetuto di nuovo il 18 di questo mese ricevendo la Congregazione per le Chiese Orientali, a cent'anni dalla morte del suo fondatore Benedetto XV. «Egli – ha detto Francesco – denunciò l'inciviltà della guerra quale “inutile strage”. Il suo monito rimase inascoltato dai Capi delle Nazioni impegnate nel primo conflitto mondiale. Come inascoltato è stato l'appello di San Giovanni Paolo II per scongiurare il conflitto in Iraq».
«Come in questo momento, in cui ci sono tante guerre dappertutto – ha aggiunto – questo appello sia dei Papi sia degli uomini e donne di buona volontà è inascoltato. Sembra che il premio più grande per la pace si dovrebbe dare alle guerre: una contraddizione! Siamo attaccati alle guerre, e questo è tragico. L'umanità, che si vanta di andare avanti nella scienza, nel pensiero, in tante cose belle, va indietro nel tessere la pace. È campione nel fare la guerra. E questo ci fa vergognare tutti. Dobbiamo pregare e chiedere perdono per questo atteggiamento. Abbiamo sperato che non ci sarebbe stato bisogno di ripetere parole simili nel terzo millennio; eppure l'umanità sembra ancora brancolare nelle tenebre: abbiamo assistito alle stragi dei conflitti in Medio Oriente, in Siria e Iraq; a quelle nella regione etiopica del Tigrai; e venti minacciosi soffiano ancora nelle steppe dell'Europa Orientale, accendendo le micce e i fuochi delle armi e lasciando gelidi i cuori dei poveri e degli innocenti, questi non contano. E intanto continua il dramma del Libano, che ormai lascia tante persone senza pane; giovani e adulti hanno perso la speranza e lasciano quelle terre». Quando finirà? Quanto sta accadendo in Ucraina sembra dirci che forse non finirà mai, ma è proprio adesso che non bisogna perdere la speranza.
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