venerdì 6 agosto 2004
Lodato sii, Nessuno./ Per amor tuo/ noi fioriamo,/ a tuo dispetto./ Noi eravamo, noi siamo nulla,/ e continueremo ad esserlo fiorendo./ La rosa del Niente,/ la rosa di Nessuno./ Eppure fioriremo con il nostro pistillo che ha lo stesso chiarore dell'anima,/ il nostro filamento che ha la stessa immensità del cielo. S'intitola Salmo, ma è un inno terribile rivolto a quel Nessuno che ci fa fiorire nella vita, avvolgendoci di amore e di odio. Noi stessi siamo e ci chiamiamo Nessuno e il mondo in cui ci troviamo immersi è una «rosa di Niente» perché inconsistente, ed è una «rosa di Nessuno» perché frutto di quel Nessuno divino a cui ci rivolgiamo invano. Il pensiero corre a quella impressionante deformazione blasfema del Padre Nostro che aveva composto lo scrittore americano Ernest Hemingway sulla base della parola spagnola, usata dalla mistica in tutt'altra direzione, Nada, Nulla: «Nada nostro che sei nel nada"». Qui, invece, a cantare questo Salmo è Paul Celan, poeta tedesco che vide morire in un lager nazista tutta la sua famiglia. Unico sopravvissuto, chiuderà la sua vita a Parigi nel 1976 a 50 anni, gettandosi nella Senna. Le sue poesie sono stupende e disperate. Forse in questo periodo nel quale tanti si divertono ci sono dentro le città deserte e cocenti persone sole e desolate, senza nessuno e niente. Per esse Dio porta il nome di Nessuno e il mondo è un Niente senza senso. Eppure, dice il poeta, c'è in noi sempre un «filamento che ha la stessa immensità del cielo», e che ci spinge ad alzare il volto, a sperare che dall'alto si affacci un volto, una presenza, una parola. E il suo nome non è Nessuno ma «Io sono colui che sono».
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