giovedì 9 giugno 2011
La ricchezza guasta l'intelligenza, come un pasto troppo forte vela di sonno anche l'occhio più vivace" Il primo effetto di un eccessivo amore per la ricchezza è la perdita della propria personalità. Si è tanto più persona, quanto meno si amano le cose.

Si usa chiamare «la sindrome dei fratelli Collyer»: Homer e Langley si rinchiusero nella loro casa sulla Quinta Strada di New York colmandola all'inverosimile di oggetti (quattordici pianoforti, decine e decine di grammofoni, macchine da scrivere, giocattoli, carrozzine per bimbi, casse, barili, fusti, lampade, vestiti, libri, tonnellate di giornali e cibi e altro ancora), sigillarono le porte, introdussero trabocchetti per vietare l'accesso e là morirono sommersi dalla loro ossessione per la "roba". Chi non ricorda la terribile finale della novella intitolata appunto «La roba» di Giovanni Verga, quando il protagonista, sentendo prossima la morte, esce in cortile e si mette ad ammazzare a colpi di bastone le sue anatre e tacchini, strillando: «Roba mia, vientene con me!»?
Ai fratelli Collyer lo scrittore americano E. L. Doctorow ha dedicato un romanzo, Homer & Langley (Mondadori 2010); noi, invece, per una riflessione semplice sul tema dell'attaccamento folle alle cose, siamo ricorsi al nostro Vitaliano Brancati (1907-1954) e al suo libro sui Piaceri. La nota più interessante che egli ci propone è questa: chi ama troppo le realtà materiali perde la propria personalità, è accecato nella mente e ha il cuore indurito. È suggestivo il monito della Bibbia secondo il quale chi adora l'idolo diventa simile ad esso (Salmo 115,8), si tramuta cioè in oro o pietra egli stesso, e san Paolo dichiarava che l'attaccamento alle ricchezze è appunto idolatria (Colossesi 3,5). Raccogliamo, allora, l'appello di Cristo: «Non accumulatevi tesori sulla terra dove ladri scassinano e rubano, ma tesori in cielo" Perché sulla terra dov'è il tuo tesoro, sarà il tuo cuore» (Matteo 6,19-21).
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