martedì 23 agosto 2011
Un libro indegno di essere letto una seconda volta è indegno pure di essere letto una prima.

Cito a memoria questa frase che trovai scritta su un cartello in una libreria, accanto ad altri appelli alla lettura, come quelli sul fatto che leggere allunga la vita e altri motti alla Daniel Pennac. Se ben ricordo, l'aforisma è di uno scrittore lombardo dell'Ottocento, Carlo Dossi, nelle sue Note azzurre. Mi sento di accogliere questa esortazione per una duplice ragione. Innanzitutto questo scorcio di vacanza - dopo i viaggi, le visite e le varie distrazioni - potrebbe essere per tutti il tempo della lettura quieta, oasi di riflessione e di ricarica interiore. Il celebre Montaigne, nei suoi Saggi, confessava: «Non viaggio mai senza libri né in pace né in guerra… È il miglior viatico che abbia trovato per questo viaggio umano». C'è, però, una seconda ragione. Se è lecita ora una confessione personale, per me è stato fin da ragazzo vero quello che il filosofo Tommaso Campanella affermava in un suo sonetto: «Quanti libri tiene il mondo / non saziar l'appetito mio profondo: / quanto ho mangiato! e del digiun pur môro [muoio]».
Sì, mi sembra ancora di essere digiuno e affamato, anche dopo una vita di lettura. Ora, però, comincio a praticare di più il consiglio di Dossi, quello della rilettura. Sarà perché la produzione contemporanea mi delude o non mi conquista, sarà per nostalgia del passato. Sta di fatto che i grandi autori che stanno alle nostre spalle mi emozionano più della prima volta in cui li lessi. Ma talora si vede anche come alcuni libri forse non sono così straordinari come sono apparsi alla prima lettura. Il consiglio, comunque, è chiaro: "rileggiamo", perché, forse, «ci sono libri ingiustamente dimenticati; ma non ce ne sono di ingiustamente ricordati» (Wystan Auden).
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