domenica 9 dicembre 2012
A Firenze, subito dopo il Ponte Vecchio venendo dal centro città, ci si ritrova quasi di fronte alla chiesa di Santa Felicita, per lo più ignorata dalle folle di turisti con le videocamere e le macchine fotografiche al collo. Nella prima cappella a destra, c'è uno dei dipinti più belli del Rinascimento italiano, la Deposizione del Pontormo. Metto la moneta nell'apparecchio per dare la luce e intanto rivedo nella mente il tableau vivant che Pasolini ha fatto di questo quadro nel suo film La ricotta, dove una troupe cinematografica è impegnata nelle riprese di una Passione di Cristo. Il dipinto si illumina. Sostenuto da undici figure che sembrano galleggiare in un viluppo di vesti e mantelli colorati di verde, rosa e azzurro, il corpo del Cristo evoca un dolore prossimo alla trasfigurazione. Nessuna croce vi è rappresentata e la Madre e il Figlio, nella folla delle figure che formano una piramide, non sono uniti, come spesso nelle Deposizioni, ma separati. I personaggi che reggono il corpo guardano verso l'esterno, rivolti agli spettatori, e non avvertono il peso, procedono in punta di piedi. Una misteriosa brezza gonfia alcuni abiti, altri sono come una seconda pelle. A questo dolore privo di gravità sembra adattarsi la definizione di Stendhal: «La bellezza non è che una promessa di felicità».
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