mercoledì 11 febbraio 2004
Quando il potere spinge l'uomo all'arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la ricchezza e diversità della sua esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia purifica. Saltabecco qua e là in una raccolta di discorsi del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, ed è facile riconoscere la distanza che intercorre tra lui e il suo attuale successore. Ciò che rivela l'autentica grandezza di uno statista è il suo respiro, il suo sguardo oltre i piccoli orizzonti. Ad esempio, nel discorso all'Onu del 1961 leggo: «L'umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all'umanità». Ho scelto, invece, per la nostra riflessione un passo del discorso che J.F.K. tenne all'Amherst College nel 1963, pochi mesi prima di essere assassinato. Il tema è suggestivo: la poesia e la vita. Possiamo attribuire al termine "poesia" un significato più vasto che inglobi un po' tutti i valori dello spirito e dell'idealità e, così, comprenderemo quanto sia necessaria questa componente, spesso relegata nel mondo dei sogni e della fantasia. La vera poesia scava nelle oscurità dell'anima e rivela la nostra miseria, il nostro limite, la morte fisica e interiore. E' per questo che diventa un antidoto all'arroganza e alla superficialità. Essa
tende, però, a varcare i confini della nostra finitudine, ci spinge verso l'eterno e l'infinito, ci mostra quanto sia mirabile l'essere che ci circonda, quanto grandi siano le nostre possibilità e quanto immenso il mistero che ci avvolge e ci supera. Infine la poesia è libertà, purezza, sincerità e per questa via ci conduce oltre ogni corruzione e inganno verso la luce e la verità.
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