venerdì 18 luglio 2003
Guardate: io soffio su questa piuma per allontanarla dal mio viso, ma l'aria poi la sospinge di nuovo verso di me. Essa obbedisce al mio fiato quando vi soffio sopra; cede, invece, a un'altra forza quand'è quest'ultima a soffiare: insomma, essa è sempre governata da quel vento che spira più robusto. Tale è la leggerezza degli uomini del popolo. Qualche tempo fa avevo basato un mio "Mattutino" su una battuta dell'Enrico VI, il primo dramma scritto da Shakespeare (1590-92). Continuando allora la lettura, avevo annotato un altro passo, pronunziato dal protagonista (atto III, scena I), e l'avevo conservato. Ritrovandolo proprio oggi su un cartoncino disperso, lo propongo subito prima di perderlo di nuovo. Anche se il re nel suo orgoglio la attribuisce agli "uomini del popolo", in verità questa caratteristica è di tutti
e forse ancor di più dei capi, pronti a ogni incoerenza pur di restare a galla.
L'immagine della piuma e del soffio è suggestiva. Essa fa il pari con quella adottata da Gesù per contrasto nel suo ritratto del Battista: «Cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?» (Matteo11, 7). Il poeta ottocentesco tedesco Heinrich Heine nei suoi Frammenti inglesi ricordava ironicamente che «la banderuola sulla guglia del campanile, benché di ferro, sarebbe presto rotta dalla tempesta se non conoscesse la nobile arte di girare a ogni vento». L'opportunismo, l'incoerenza, l'incostanza, il compromesso sono prassi quotidiana a cui ci adattiamo allegramente. Il voltagabbana è sempre pronto a indossare la nuova casacca, pur di non perdere l'occasione vantaggiosa. Siamo più "termometri" che "termostati", ironizzava a proposito dei cristiani Martin Luther King: sempre disposti ad adattarsi al clima, mai a cambiarlo!
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