giovedì 10 febbraio 2005
Diffido della pietà. Esalta in me sentimenti piuttosto vili, un prurito di tutte le piaghe dell'anima. Certo, la pietà è un sentimento ambiguo, come dice il protagonista del romanzo Il signor Ouine che lo scrittore cattolico francese Georges Bernanos pubblicò nel 1946. C'è, infatti, una pietà che nasce da viltà e sconfina nel disprezzo. È quell'atteggiamento apparentemente compassionevole nei confronti della creatura più debole ma che sottilmente nasconde in sé un'arroganza o l'intimo compiacimento di non essere in quello stesso stato miserando. Leonardo Sciascia nella sua famosa opera Le parrocchie di Regalpetra (1956) giungeva al punto di scrivere: «Un terribile sentimento, la pietà. Un uomo deve amare ed odiare: mai aver pietà». Ribaditi, dunque, tutti i rischi che questa esperienza umana comporta, bisogna però anche riconoscere il rovescio della medaglia. Troppo spesso, infatti, ci imbattiamo in persone spietate. In questi casi la loro arroganza è esplicita, la loro crudeltà non si premura di velarsi, la loro indifferenza non cerca alibi ma si ostenta in tutta la sua brutalità. C'è, però, un'altra forma, meno appariscente, di essere senza pietà ed è quella espressa dall'aggettivo "impietoso", meno forte di "spietato", eppure ugualmente "senza pietà". Esso può adattarsi a chi si fa progressivamente indifferente di fronte alla sofferenza e alla necessità altrui. Il suo comportamento è quello egoistico del sacerdote e del levita della parabola del Buon Samaritano: essi «passano oltre dall'altra parte» della strada ove è accasciato a terra chi avrebbe bisogno di quella pietà che è umanità, solidarietà e autentica compassione. La vera pietà è, infatti, sinonimo di amore.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: