giovedì 27 marzo 2008
II Domenica di Pasqua
Anno A

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù (...) e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (...) Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo (...) c'era anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (...)
«Se non vedo, se non tocco, io non credo». Non crede Tommaso neppure a dieci apostoli: «non viene da voi la prova di cui ho bisogno. Io voglio sentire Cristo che tocca Lui la mia vita, Cristo che entra, apre, solleva, e traccia strade. Non mi accontento di parole, ho bisogno di "sentire" Dio, di un Dio sensibile, udibile, visibile; non di un racconto, ma di un avvenimento. Ho bisogno che la sua vita scuota la mia vita, e sentire che è per me, che è mio». Ed ecco che Tommaso non ricerca segni gloriosi o trionfalistici, ma vuole toccare le ferite vive e aperte della passione, rivedere il corpo dato, il sangue versato: lì è condensata l'essenza della fede.
Finché non partecipi, finché non sei coinvolto nell'immenso gioco dell'amore e del dolore di Dio, non puoi dire: io credo, Signore!
«Metti qui il tuo dito, tendi la tua mano!». Gesù si fa vicino, voce che non giudica ma incoraggia, e i segni dei chiodi sono a distanza di mano e di cuore: il risorto è il crocifisso. La Pasqua senza la croce è vuota. La croce senza la Pasqua è cieca.
Tommaso si arrende a un crocifisso amore che accondiscende alla sua fatica di credere e consegna ancora il suo corpo; si arrende a quel foro nel fianco e neppure si dice che lo abbia toccato. Si arrende all'amore che ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite. Indelebile alfabeto, come l'amore. A ciascuno di noi Gesù ripete: «guarda, stendi la mano, tocca le piaghe, ritorna ai giorni della croce; guarda a fondo, fino alla vertigine, in quei fori; porta i tuoi dubbi al legno della croce, troveranno risposta; non stancarti di ascoltare la passione di Dio».
E Tommaso passa dall'incredulità all'estasi: «Mio Signore e mio Dio». Voglio custodire in me questo aggettivo, come una riserva di coraggio per la mia fede: «Mio». Piccola parola che cambia tutto, che non evoca il Dio dei libri o degli altri, ma il Dio intrecciato con la mia vita, mia luce e mia ombra, assenza e poi più ardente presenza. Tommaso come l'amata del Cantico dei Cantici dice: «Il mio amato è per me e io sono per lui». Mio, non di possesso, ma di appartenenza. Mio, in cui mi riconosco perché da lui sono riconosciuto. Mio, perché esiste per me, mia luce e mio dolore. Mio come lo è il cuore e, senza, non sarei. Mio come lo è il respiro e, senza, non vivrei.
(Letture:Atti 2,42-47; Salmo 117; 1 Pietro 1,3-9; Giovanni 20,19-31)
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: