mercoledì 6 luglio 2005
L'Occidente è una nave che affonda, dove tutti ignorano la falla e lavorano assiduamente per rendere sempre più comoda la navigazione e dove non si vuol discutere che di problemi immediati" Ma la vera salute non sopraggiunge forse perché si è capaci di scoprire la vera malattia? Non di rado il nostro giornale, soprattutto nelle pagine culturali, ha polemizzato col filosofo Emanuele Severino e le ragioni del contendere erano spesso evidenti, considerata la prospettiva generale adottata da questo noto pensatore. Oggi, però, vorrei raccogliere una sua considerazione puntuta ma simile a una scossa salutare. Sono parole che egli scrisse nel 1969, in un articolo Sul significato della "morte di Dio"; esse, però, conservano intatto il loro valore, anzi si rivelano ancor più attuali. Suggestiva è l'immagine di una sorta di "Titanic" speronato e squarciato che procede verso l'affondamento, mentre sul ponte si studia come migliorare la piscina o i servizi di bordo o il "comfort" delle camere. Non ci si preoccupa più di tanto dei problemi veri della nostra esistenza, della società, della stessa Chiesa e si cincischia su tante questioni marginali. Per guarire da una malattia - continua Severino - bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia, nella sua gravità e non ricorrendo a rimedi illusori, a placebo o ad artificiose sicurezze. Si deve, quindi, ritornare alla serietà, all'autenticità, al rigore, spogliandosi dalla fatuità, dalla superficialità, dalla banalità. Non è un monito moralistico e pedante, ma il necessario ritorno alla sostanza dei problemi, ai valori e alle domande vere: solo così si scopre il sapore genuino della serenità.
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