La mutazione tra i '60 e i '70 per Cordelli: dalla neoavanguardia ai gulag vissuti
sabato 2 febbraio 2013
L'editore Gaffi ripubblica ora Partenze eroiche di Franco Cordelli, libro di recensioni, saggi, note e aforismi che uscì da Guanda nel 1980, alla fine di un decennio deprecabile, criminoso, infatuato e gesticolante, con il quale già si concludeva un secolo infestato da avanguardie artistiche e politiche.Conosco Cordelli da quando a Roma frequentavamo, dal '63 al '66, le lezioni sul romanzo di Giacomo Debenedetti. Eravamo studenti, non avevamo pubblicato niente, leggevamo di tutto e discutevamo di continuo. Ora riscopro quel libro come uno dei suoi più belli, un romanzo critico di formazione nel quale l'autore cercava se stesso leggendo e rimuginando, combinando teorie e teoricismi, affinità e inimicizie. Non c'è quasi capitolo che non abbia una o due epigrafi attraverso le quali l'autore costruiva e puntellava la sua etica letteraria. Mentre mi aggiro nei labirinti mentali del giovane Cordelli, noto un breve saggio scritto nel 1979, «Dalla morte al mattino», nel quale ci si interroga sull'identità del decennio trascorso. «Neoavanguardie e romanzo latinoamericano: ecco gli anni Sessanta», ma come definire il decennio successivo, dopo il suicidio di Celan e Mishima nel 1970? Cordelli sceglie come punto di svolta un fenomeno che sembrerebbe contraddire la sua idea di letteratura («l'unica esperienza assoluta della vita, l'unica esperienza che rifiuta la vita come esperienza»). In verità Cordelli ha sempre oscillato fra due priorità contraddittorie: da un lato il testo e lo stile (la lezione di Roland Barthes) dall'altro lo scrittore come eroe esistenziale (l'esemplarità di T. E. Lawrence). Con gli anni Settanta la Grande Teoria tra strutturalismo e semiotica è "allo sbaraglio", la rivelazione viene dalla Russia: Solzenicyn, Salamov, Siniaski, Bykov, Vladimov, Ajtmatov, Vojnovic, con i quali si manifesta «non solo il vecchio pathos dostoevskiano o realista, ma una mai vista forza critica, negativa, sarcastica o addirittura tragica, una forza che era ormai inimmaginabile pretendere dalla letteratura». Dunque la letteratura non nasce solo da se stessa. Kafka nella sua stanza aveva già visto l'inferno, poi Solzenicyn e Salamov lo hanno vissuto e descritto.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: