venerdì 23 novembre 2007
La perfetta ragione fugge dagli estremi e vuole che si sia saggi con moderazione.
Alceste in verità è un giovane che detesta la menzogna e ogni forma di compromesso e in questo è da lodare.
Ma in agguato c'è per lui una sorta di deriva: comincia a criticare tutto, puntando sempre e solo sul negativo che pure appartiene al limite umano, e così alla fine diventa il Misantropo della famosa commedia che Molière scrisse nel 1666. È da quell'opera che oggi traggo lo spunto per la nostra riflessione, uno spunto che va proprio nella linea di una maggiore capacità di comprensione e di tolleranza. E qui entra in scena la virtù della moderazione, un termine che non gode sempre di apprezzamento, tant'è vero che l'aggettivo «moderato» può acquistare anche l'accezione di «conservatore, reazionario, codino», andando ben oltre il suo valore originario.
Tuttavia, soprattutto in questi tempi di eccessi verbali o comportamentali, in un periodo in cui diventano esasperate persino le immagini e le musiche (lo ricordavamo ieri in occasione della festa di s. Cecilia), in cui si è ribelli a ogni regola o limitazione, la moderazione, che è poi la virtù della temperanza, dovrebbe essere riproposta con vigore come uno stile di vita. Contro la sfrenatezza, l'incontinenza, la sregolatezza, ritrovare «la ragione che fugge dagli estremi», come dice Molière, è segno non di grettezza reazionaria o passatista, ma solo di dignità e nobiltà di spirito. Non è il voler essere a tutti i costi benpensanti, un po' retrivi e meschini, ma è il pensare bene, correttamente e fondatamente, ricordando il monito di un antico sapiente d'Oriente, Confucio, che diceva: «Chi si modera di rado si perde».
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