martedì 24 giugno 2003
Chi desidera il bene altrui scopre che la felicità degli altri è la fonte più generosa per la propria felicità. La sua esistenza, libera dall'egoismo, dalla viltà e dall'avidità, diventa intrepida, audace, capace di qualsiasi impresa" Il suo animo si infiamma, si riempie di zelo e dimentica le preoccupazioni personali che sono alla base delle penose ansie di paura, gelosia e invidia. C'è una
frase di Giovanni Battista, di cui oggi celebriamo la festa, che mi è sempre piaciuta: «Egli (Cristo) deve crescere, io invece diminuire» (Giovanni 3, 30). Dovrebbe essere il motto di chi ama davvero un'altra persona, del genitore e dell'educatore o dell'amico. Godere della felicità altrui, anzi, contribuire alla gioia e alla gloria dell'altro. Se si ha questa libertà e generosità interiore, si è veramente persone grandi, «libere dall'egoismo, dalla viltà e dall'avidità», come scriveva il sociologo e storico scozzese Adam Ferguson (1723-1816) nei suoi Principi di scienza politica e morale sopra citati. Quanto è differente, invece, il nostro comportamento più comune: siamo invidiosi, gelosi, timorosi che l'altro ci superi e ci metta in ombra. È accaduto così anche ai discepoli del Battista: molti di loro non accettarono di seguire l'astro nascente indicato dal loro maestro e si rinchiusero nella grettezza di una setta che durò per qualche secolo. Sono pochi quelli che sanno capire quella frase di Cristo, ignota ai Vangeli ma citata da Paolo, secondo la quale c'è «più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti 20, 35). Sono pochi quelli che possono confessare con verità quello che scriveva il romanziere cattolico francese Georges Bernanos: «Il segreto della felicità è trovare la propria gioia nella gioia dell'altro». Ma non mancano quelli che sanno assaporare quella felicità, e il volontariato - per esempio - ne è anche oggi una testimonianza concreta.
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