giovedì 13 dicembre 2007
III Domenica d'Avvento
Anno A

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta».(...)

«Sei tu colui che deve venire?». Perché attorno a Gesù fiorisce il dubbio anziché l'adesione immediata ? Perché dubitano anche i profeti? Alla scuola del dubbio, tutti impariamo a purificare la qualità della vita di fede. Nella fede c'è tanta chiarezza quanta serve a camminare e tanta oscurità quanta basta per dubitare: in Giovanni convivono un israelita che si affida al rabbi galileo, e un giudeo che non si fida. Ma il dubbio non riesce a spegnere la passione del profeta per il Messia: «oppure devo attendere un altro?». Se mi deludi, io continuerò a cercare; se non sei tu, io non mi arrendo, continuerò a sperare. Il profeta proclama una attesa più forte del dubbio. «Attendere, infinito del verbo amare» (Tonino Bello). Il profeta non si vergogna dei suoi dubbi, sono misteriosa profezia, parola sapiente per la nostra vita, motore per una ricerca, infinita come il verbo amare.
Gesù risponde con un racconto, non con un sì o un no; un racconto che non dimostra ma mostra, che convoca il dolore, le Scritture, il vicino di casa, il lavorio del cuore, e lascia libero: è venuto uno che non entra nei palazzi, ma nel male di vivere, che s'interessa di lebbrosi anziché di rabbini. Una corte dei miracoli sorge attorno a lui, evocata da sei nomi: ciechi storpi lebbrosi sordi morti poveri"Il settimo nome, quello che manca perché l'elenco sia completo, è il mio.
Non pensiamo di ottenere da Dio risposte che cancellino ogni dubbio. La sua risposta è semplice come un racconto; umile come la risposta di Isaia (I lettura): coraggio, fatti forza; povera come quella di Giacomo (II lettura): abbi pazienza, come contadino d'inverno; ci vuole eroismo a resistere su questa linea così poco munita, a pazientare, a darsi coraggio, a guardare germogli. Avrei preferito una risposta solare, evidente, chiara. Beato però chi non aspetta l'evidenza ma la speranza. Beato chi accetta la fede come luce e come strada mai conclusa.
Alla fine il racconto diventa domanda: cosa siete andati a vedere nel deserto? Vedere, dice, non imparare. Dio si mostra, non si dimostra. La fede ha bisogno di un capitale di testimoni per essere creduta. Forse noi non siamo più creduti, perché siamo fede senza corpo, una canna che si piega a tutto, così lontani da Giovanni del deserto, profeta che si fa domanda, ma che nulla piega se non il soffio di Dio.
(Letture: Isaia 35,1-6a.8a.10; Salmo 145; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11)
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