La crisi dell'export di vino italiano
domenica 15 novembre 2020
Si beve meno vino italiano nel mondo. Effetto Covid-19, pare. A segnalare la diminuzione delle vendite all'estero di vini nazionali è Coldiretti, che dice: «Per la prima volta in 30 anni si registra una frenata dell'export con un calo del 3,2% in valore nei primi sette mesi del 2020». Storica inversione di tendenza, quindi, che secondo i produttori «non ha precedenti».
Il dato è emerso nel corso di un incontro promosso dagli stessi coltivatori, e avrebbe come causa principale il «moltiplicarsi dei Paesi che hanno adottato misure di contenimento con la chiusura di bar e ristoranti». Nell'elenco, in effetti, vi sono alcuni dei migliori clienti della nostra vitivinicoltura come Germania, Stati Uniti e Regno Unito. Una situazione che, tra l'altro, potrebbe aggravarsi con una ulteriore frenata degli ordini per la fine dell'anno, che generalmente è un periodo prodigo di ordini.
Ad essere a rischio, non sono solo le vendite come tali, ma una filiera importante che i coltivatori diretti stimano miliardaria. Per capire, basta sapere che lo scorso anno le esportazioni sono risultate pari a 6,4 miliardi su un totale di 11 miliardi, e che questa hanno sviluppato 1,3 milioni di posti di lavoro lungo la filiera.
A questo punto che fare? Alcune misure, in realtà, sono già state adottate. Attraverso strumenti diversi, sono stati attivati sgravi contributivi, incentivi all'acquisto, canali di liquidità necessari alle imprese. La diminuzione delle vendite all'estero, tuttavia, è qualcosa di più preoccupante del calo del mercato interno dovuto alle restrizioni imposte da Covid-19. Oltre metà del fatturato della vitivinicoltura nazionale, infatti, arriva dalle vendite all'estero. Da qui le indicazioni dei coltivatori diretti: non solo un «piano straordinario di internazionalizzazione anche con la creazione di nuovi canali commerciali». Ma anche una massiccia campagna di comunicazione e, soprattutto, una regia unica «che accompagni le imprese in giro nel mondo, valorizzando il ruolo strategico dell'ICE e con il sostegno delle ambasciate». Su tutto, poi, il superamento di alcuni scogli che, pressoché da sempre, ostacolano il cammino delle nostre produzioni nel mondo: i ritardi infrastrutturali e burocratici. Non a caso, tra l'altro, i produttori parlano di una "bolletta logistica" troppo salata. A ben vedere, proprio questi problemi sono i più urgenti e difficili da superare. Questioni che, tra l'altro, con Covid-19 c'entrano poco o nulla.
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