venerdì 28 ottobre 2011
Coi suoi diagrammi l'economista mostrava e dimostrava che la categoria "crescita" è capitale per lo sviluppo. «Questa è la legge sia dell'economia sia della natura: ogni crescita è buona in sé stessa». Tra gli uditori della conferenza si levò una mano e una voce esitante dichiarò: «Purtroppo, però, la pensa così anche la cellula cancerosa…».

Su un vecchio numero di una rivista inglese di costume e società - e quindi anche di economia - trovo questo apologo ironico. Anche ai semplici cittadini viene ripetuto che la crescita dei consumi è il volano dell'economia, così come lo è la crescita della produzione, del livello di vita, del prodotto interno lordo e via dicendo. La parola magica è effettivamente «crescita». E su tanti aspetti possiamo andare d'accordo. Ma quella timida mano alzata pone un'obiezione che non può essere accantonata dalla tipica superiorità dello studioso che ignora i dati marginali. Elias Canetti, il noto autore della Provincia dell'uomo (1973), osservava che «il progresso ha, però, qualche svantaggio: ogni tanto esplode».
La crescita, quando riguarda la società, non è così meccanica come in un esperimento di laboratorio. C'è il fattore umano che non può essere ignorato e si chiama «etica». Perciò, diamo certamente «a Cesare ciò che è di Cesare», riconoscendo l'autonomia di certe leggi socio-economiche, ma siamo sempre pronti a ricordare a quegli operatori che bisogna anche «rendere a Dio ciò che è di Dio». Se non sono credenti, basterà ribadire loro che la dignità dell'uomo, la sua libertà, la sua vita non sono negoziabili secondo i parametri della pura «crescita» materiale. Bisogna, però, riconoscere che non pochi economisti oggi sono molti più cauti. «Anche il progresso - scriveva Ennio Flaiano - diventato vecchio e saggio, votò contro».
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