mercoledì 23 novembre 2005
La carezza non è un semplice contatto, perché allora verrebbe meno al suo significato. Carezzando l'altro, io faccio nascere la sua carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte di quei riti che "incarnano" l'altro, fa nascere l'altro come carne per me e per lui. Il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio. È stato un pensatore osannato e contestato, la sua visione del mondo atea e rigida ha provocato le reazioni più diverse. Ora, a cento anni dalla sua nascita avvenuta a Parigi nel 1905 e a 25 anni dalla morte, Jean-Paul Sartre è una figura un po' appannata. Noi lo ricordiamo attraverso un passo un po' sorprendente di un suo saggio filosofico famoso, L'essere e il nulla del 1943; sono, infatti, parole molto intense che possono essere riprese da tutti. Sì, perché ai nostri giorni la tenerezza è impallidita, anzi, intisichita. I comportamenti, anche in amore, sono sbrigativi, i contatti fugaci, la comunicazione è affidata alla freddezza dei "messaggini" dei cellulari, simili a telegrammi cifrati. Si sta compiendo quello che Pasolini confessava: «Ho un'infinita fame d'amore, d'amore di corpi senz'anima». Ecco, la carezza ha senso solo se c'è l'anima, altrimenti è uno sfregamento di pelle. Non per nulla il vocabolo ha alla base la stessa radice della parola "carità", che è l'amore puro e totale, ossia il greco chàris, che è la "grazia" celebrata da s. Paolo come segno dell'amore divino. Per questo è necessario ritornare alla carezza che fa "nascere" la carne dell'altra persona in un'intimità profonda e spirituale ove anima e corpo si fondono in una unità d'amore.
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