sabato 9 dicembre 2006
«Che cantante straordinaria! La sua voce riempiva la sala», commentò la signora ingioiellata alla prima annuale del Teatro d'Opera. «Sì - commentò un giovane appassionato di musica - molti sono dovuti uscire per farle posto!». Da un lato ci sono le barzellette e dall'altro gli apologhi o gli aneddoti: non sempre sono distinguibili in modo netto. È il caso del divertente raccontino che trovo, inserito in un riquadro floreale, su una nota rivista americana, il New Yorker, e cedo alla tentazione di riproporlo con un duplice commento. Il primo riguarda una caratteristica che è permanente nella storia dell'umanità, ma che nei nostri tempi sembra godere di straordinaria gagliardia. Si tratta del cattivo gusto, equamente diffuso in tutti gli ambiti e in tutte le categorie sociali. Le "prime" - non solo alla Scala - fanno emergere assieme alla stupida provocazione di certi abbigliamenti anche l'ignoranza, sorella del cattivo gusto: molti di quegli spettatori vanno per "esserci", non certo per la musica nei cui confronti sono del tutto sordi. Il brutto e la sguaiataggine, la meschinità umana e intellettuale e la mancanza di stile si ramificano dappertutto, lambendo anche le chiese («cantate a Dio con arte», si esorta nel Salmo 47"). Un'altra considerazione vorrei fare, invece, riguardo alla forza di quella voce: l'eccesso non si sposa con la bellezza, la prevaricazione non significa grandezza, lo squallore non genera necessariamente qualità. Ecco, allora, un'altra virtù necessaria: la finezza. La capacità di calibrare e regolare la voce o il gesto, lo stile, l'armonia sono realtà delicate che si conquistano con l'educazione e l'addestramento, non con l'impulso e l'eccitazione.
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