domenica 10 luglio 2011
Quando salutate un ospite, mostrate grande deferenza. Quando arrivano e quando partono, chinate il capo davanti a loro, onorando Cristo che è in loro. Accogliendo l'ospite, accogli Cristo.

Fanno pena coloro che si riempiono la bocca dell'impegno di difendere il crocifisso e poi scaricano insulti sugli stranieri indesiderabili che bussano alle loro porte. Infatti, era stato proprio quello stesso uomo crocifisso a dire senza tante subordinate: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me… Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». E, a scanso di equivoci, l'elenco era chiaro: stranieri, nudi, malati, carcerati (Matteo 25, 31-46). Domani celebreremo la festa di san Benedetto e dalla sua Regola ho estratto questo passo così suggestivo soprattutto con quell'inchino che accompagna l'ospite approdato al monastero.
Certo, è facile accogliere a tavola l'amico per una festa: «Invitare qualcuno alla nostra mensa significa prendere su di noi la cura della sua felicità finché rimane sotto il nostro tetto», osservava quel magistrato gastronomo famoso che fu Anthelme Brillat-Savarin, nella sua Fisiologia del gusto (1825). Ma la cosa si fa ben più ardua quando devi accogliere un anziano che perde la bava, un conoscente malmesso, uno straniero, un malato. A livello sociale generale risuoni, allora, il sempre attuale (nonostante i secoli trascorsi) monito biblico: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi. Tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto» (Levitico 19, 33-34). «Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Ebrei 13,2).
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