venerdì 13 giugno 2003
Tutto sembra impuro agli impuri, come tutto sembra giallo all'occhio dell'itterico. È del poeta inglese Alexander Pope (1688-1744) - nel suo poema didattico Saggio sulla critica (1711) - questa frase che trovo citata in un articolo di una rivista americana. È facile evocare il parallelo positivo della Lettera a Tito di Paolo, il celebre Omnia munda mundis (1, 15), frase della versione latina della Bibbia usata anche da Manzoni in un passo famoso dei Promessi Sposi. Sì, perché molte realtà sono malamente giudicate proprio dal soggetto che le esamina. Se si ha l'occhio infected, come si dice nell'inglese di Pope, si vede tutto il mondo come viziato, nero, perverso, negativamente monocromo, proprio secondo quanto accade all'occhio dell'itterico o a chi indossa pesanti lenti scure. Al contrario, chi ha l'occhio puro sa distinguere bene e male, ma sa anche giudicare il male con compassione, sa perdonare, sa anche convertire con la pazienza dell'amore. Avere l'occhio limpido non vuol dire vedere tutto come un Eden paradisiaco, perché sarebbe come cadere in un daltonismo spirituale. Vuol dire, invece, saper discernere tra luce e tenebra conservando però la forza trasfigurante e illuminante della purezza. Lo scrittore greco del III sec. a.C. Diogene Laerzio nelle sue Vite dei filosofi metteva in bocca al suo omonimo, Diogene il Cinico, vissuto un
secolo e mezzo prima di lui, questa battuta: «Anche il sole penetra nelle latrine, ma non ne è contaminato». Chi ha luce dentro di sé, chi ha una coscienza pura passa in mezzo al mondo bacato e malato e irradia la sua pace e la sua testimonianza, senza disprezzo ma anche senza cedimenti.
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