giovedì 10 luglio 2014

Entra una luce chiara e ferma dall'arco in rovina davanti al quale siede la Madonna con l’iris di Albrecht Dürer e allievi. Le sue vesti rosso-arancio denunciano il fuoco della passione che attraverserà, a motivo del figlio che ha in grembo. Il volto non è ovale, affilato, come nelle Madonne fiamminghe, ben note a Dürer. L'artista dipinge volutamente una donna tedesca, soda, dai lineamenti marcati e la bellezza rustica. L'ambiente rupestre in cui siede le si confà perfettamente, ma ciò che a prima vista appare come amore di Dürer per il paesaggio, si rivela in realtà una selva di simboli.
Spunta evidente, da dietro la Vergine, un iris. Il nome di questo fiore rimanda all'iride, dunque alla luce, ed è uno dei fiori più amati dall'arte e dall'araldica. Basterebbe citare l’antico stemma ghibellino di Firenze, composto da un iris bianco su fondo rosso, ma si potrebbe setacciare il panorama artistico europeo per veder spuntare giaggioli qua e là. Viene alla mente, ad esempio, l’enigmatico vaso di fiori di Hans Memling. Il dipinto, che doveva far parte di un Trittico sulla Madonna, è associato al ritratto di un giovane orante, dall’espressione intensa e serena. Non conosciamo l’origine dell’opera, certo doveva comprendere anche un ritratto femminile: una giovane coppia di sposi che consacrava a Maria la sua unione. Doveva esserci anche un secondo vaso, forse di vetro, a completare la simbologia. Certo è che il vaso di ceramica di Memling reca l’acronimo del nome di Gesù JHS: Jesus Hominum Salvator. Da questo vaso spuntano due gigli bianchi, tre iris viola e fiori di aquilegia, simbolo dei sette dolori della Vergine. Con una simile natura morta, l’anonimo committente di questo trittico esprimeva, con simbolica discrezione, la sua fede in Cristo, nella Vergine Madre e in quel Sacrificio eucaristico che sigillava le sue nozze.
L'iris, con i suoi tre petali, rimanda al mistero della Trinità e, per questa sua forma, è detto anche giglio a spada, con allusione, appunto, ai dolori di Maria per la morte in croce di Cristo. Quando è bianco, come il giglio, simboleggia la purezza e la santità, se violaceo, invece, la passione. Nell'opera della bottega di Dürer, l’iris si erge immacolato e, nei suoi petali rovesciati, si colora di un azzurro violaceo; due pali di legno incrociati incorniciano un lembo di cielo dove, da dietro le nubi, si vede Dio Padre con lo stesso abito rosso di Maria. La Trinità è qui, in questa scena apparentemente quotidiana, e si rivela dentro a un mistero di amore e dolore. Qui c’è una vergine colta nel gesto, tutto materno, di allattare il Figlio e il latte di tal madre non viene dalla concupiscenza, ma da una sponsalità tutta celeste. Il Bimbo che allatta non è solo uomo, ma anche Dio: una creatura, dunque, nutre quel Dio che un giorno ci sazierà con il suo corpo e il suo sangue. All’estrema destra del quadro, infatti, una vite si erge rigogliosa ma senza frutto. Il grappolo vero è lì, tra le braccia di Maria. Il miracolo di questo connubio tra natura umana e divina, tra dolore e amore è cantato nell'opera da due farfalle. Una, bianca, si è posata ai piedi della Madre, l’altra, viola è, a sinistra, sul lembo del suo mantello. L’arco in rovina sullo sfondo simboleggia la precarietà della vita umana che Dürer rassicura. Nessun timore, dunque, per l’uomo fedele: dietro ad ogni sofferenza c’è un tesoro di gloria che nasce, dentro la lotta quotidiana contro il male, c’è un seme di grazia che feconda la terra.

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