sabato 27 gennaio 2007
L'idea che tu hai di me è costruita col materiale preso a prestito dagli altri e da te stesso. Quello che tu pensi di me dipende da quello che tu pensi di te. Forse crei l'idea che hai di me col materiale che vorresti eliminare dell'idea che hai di te stesso. Forse l'idea che hai di me è un riflesso di quello che gli altri pensano di te. O forse quello che tu pensi di me è semplicemente quello che credi che io pensi di te. Forse qualche lettore riconoscerà in queste righe un'opera di spiritualità che ebbe in passato un grande successo, anche per la figura carismatica del suo autore: intendo riferirmi a Thomas Merton, monaco trappista americano, e al suo libro Nessun uomo è un'isola (1953). Sono parole da centellinare come esame di coscienza del nostro comportamento nei confronti del prossimo. Degli altri, infatti, il più delle volte abbiamo un giudizio modellato non sulla realtà ma sulle dicerie, sull'esperienza avuta forse vent'anni prima (senza immaginare quale evoluzione una persona possa compiere), sulle nostre frustrazioni e - perché no? - anche sulle invidie e gelosie. E qui può aprirsi una riflessione sul giudicare gli altri, atto grave e delicato per un giudice, atto da evitare il più possibile da parte nostra, se riusciamo a tener ben fisso davanti agli occhi il monito di Gesù: «Non giudicate e non sarete giudicati». Il profeta Isaia, che pure non esitava a bollare i vizi pubblici del suo tempo, esortava a «togliere di mezzo il puntare il dito» (58, 9). Non dobbiamo dimenticare che se puntiamo l'indice contro un altro, tre altre dita sono rivolte contro di noi. È la legge evangelica della pagliuzza altrui e della trave propria. Tutte le persone veramente grandi sono generose e rispettose nei confronti del bene e del male degli altri e severe con se stesse.
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