mercoledì 30 novembre 2022
È un tartaro dell’Orda d’Oro, un comanche che agita il tomahawk, un cinese in rivolta, un arciere sugli spalti, un cavaliere che galoppa in campo aperto, un pirata all’arrembaggio, un guerriero sbucato dalla giungla. È un fantaccino qualunque, intrappolato in una guerra qualsiasi, in una scaramuccia, in un agguato. Lo colpisce una sciabolata, una freccia, una lancia, un proiettile, una scheggia di granata. Inesorabilmente muore, ma non senza aver offerto il volto alla macchina da presa che sta lì ad attenderlo, per concedergli l’estremo onore di un primo piano. Non importa se, pur di ottenere il risultato, il milite ignoto prolunghi l’agonia più del dovuto. Fateci caso: al cinema non c’è battaglia nella quale la situazione non si ripresenti identica, tanto da ingenerare il sospetto che a simulare la morte sia sempre la stessa comparsa (vogliamo chiamarla Comparsa Universale?). La trama potrà essere datata finché si vuole, e resa pressoché insopportabile dalla contrapposizione tra buoni e cattivi o, peggio ancora, tra civilizzatori bianchi e selvaggi di ogni colore. Ma in quei lineamenti contratti non c’è spettatore, per quanto distratto, che non riconosca il segno di un destino comune. Nel momento in cui muore, nessuno appare più come nemico. La paura svanisce, rimane la compassione. © riproduzione riservata
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