martedì 22 luglio 2003
Meglio oprando obliar, senza indagarlo,/ questo enorme mister de l'universo! Non saranno certo memorabili questi due versi di Giosuè Carducci che un lettore milanese mi invia, citandoli dai suoi ricordi scolastici (a lui, che me lo chiede, dirò che sono tratti
dall'"Idillio maremmano" delle Rime nuove). Ma una riflessione ce la consentono, sia pure nella direzione opposta rispetto a quella che il poeta vorrebbe. In pratica egli suggerisce di non perdersi in elucubrazioni e speculazioni sul mistero dell'universo e dell'essere e piuttosto di impegnarsi nelle opere, nel lavoro, nella trasformazione della realtà. C'è indubbiamente un'anima di verità in queste parole, perché è facile perdersi in disquisizioni senza costrutto, è rischioso adottare la strada di coloro che "dicono e non fanno", come già ammoniva Gesù. Tuttavia, come dicevamo, noi vorremmo muoverci in senso opposto. Fare senza capire, agire senza avere una meta, procedere senza senso è purtroppo una prassi comune e pericolosa. Forse alcuni ricordano la parabola dei costruttori di cattedrale: alcuni faticano solo per obbligo, altri per necessità, uno solo è consapevole di erigere un capolavoro che sfiderà i secoli e il suo lavoro acquista una dignità e una bellezza inconcepibili per gli altri. È, dunque, necessario avere uno scopo nelle proprie opere come nell'esistere. È giusto desiderare di sondare l'"enorme mister dell'universo" in cui siamo inseriti. È importante, se vogliamo essere persone autentiche, interrogarci sul senso ultimo del nostro agire e del nostro vivere.
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