L’Ascensione del Signore, invito a alzare lo sguardo

May 28, 2025
Ascensione del Signore - Anno C In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. Dove te ne vai Maestro? Perché ci lasci di nuovo soli? Ognuno di noi conosce la nostalgia struggente di rivedere anche solo per un momento, per un attimo breve, la persona cara che ha perduto: il desiderio di dare
alla sua carne calda un’ultima carezza magari un ultimo tenero bacio e scambiarsi uno sguardo lucente di lacrime e di amore. Gli apostoli avevano avuto questa possibilità. Dopo la Sua morte lo avevano visto, toccato: avevano preso dalle sue mani tiepide e ferite porzioni di pesce e bocconi di pane; forse avevano tremato nello sfiorare quelle dita
e nell’ascoltare ancora una volta il suo respiro e la sua voce. Un sogno. Deve essere sembrato loro un sogno bellissimo e incredibile. Era tornato, e stavolta per sempre, il per sempre della vita. Si erano cullati forse nell’illusione di averlo tutto per loro, di tornare a camminare per le strade e a navigare controvento, di cenare con commensali dei quali, se non fossero stati con Lui, si sarebbero vergognati. Insomma, di riprendere la vita con Lui, quei giorni che erano trascorsi veloci, col cuore caldo, giorni incomprensibili a volte, ma in cui scorreva calore, tenerezza, amore. Un pulsare continuo di bellezza. Oggi invece il Maestro li saluta, lasciando loro non una dottrina, né un metodo per meditare o pregare come facevano gli altri maestri, ma li affida al Dio vivente, a quella “potenza“ inspiegabile che ancora non conoscono, e che è già pronta per loro: promessa solenne e irrevocabile, promessa fedele. E li costringe a guardare in alto perché non è più tempo di bassi orizzonti, ma di andare oltre, di volare alti, dove non c’è più niente da afferrare se non l’inafferrabile: un lembo di cielo sopra la vita per ricordarci che solo con il cuore e con l’amore si può toccare il cielo. E che solo da questo nasce quella gioia che rende grati e che fa cantare canzoni d’amore. Quanto deve essere stata lunga quella benedizione, mentre saliva piano, quanto tempo le sue mani sono state ferme a proteggere
gli occhi e i volti dei suoi amici che lo guardavano andar via? Quelle mani sono diventate scudo, tetto, riparo e forza. O forse tanto aperte da far pioggia che sana le arsure, che aiuta a fiorire,
che disseta e rinfresca le ustioni della vita. Che ancora oggi, qua su di noi, restano stese come ali, a proteggerci. (Letture: Atti degli Apostoli 1,1-11; Salmo 46; Lettera agli Ebrei 9,24-28; 10,19-23; Luca 24,46-53) © riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA