martedì 25 febbraio 2003
C'è qualcosa di peggio che avere un'anima cattiva e anche farsi un'anima cattiva: è avere un'anima bell'e fatta. C'è qualcosa di peggio che avere un'anima perversa: è avere un'anima di tutti i giorni. Così il poeta cattolico francese Charles Péguy (1873-1914). È spontanea, però, una domanda: quale sarà mai questa detestabile "anima di tutti i giorni"? Il poeta la definisce «un'anima bell'e fatta», cioè preconfezionata come un abito che si acquista ai grandi magazzini. Certo, l'anima cattiva, perversa, tenebrosa è una realtà drammatica. Eppure esiste un'altra tragedia che non impressiona pur essendo altrettanto grave ed è quella dell'anima incolore, vuota, scialba, banale, dozzinale. E purtroppo questo è il genere d'anima più diffuso. Se qualcuno la possiede, non si preoccupa più di tanto perché può opporre l'eterna domanda della persona che ha un simile modello
di anima: «Che cosa ho mai fatto di male?». In realtà il male è proprio in quel vuoto, in quell'assenza di autenticità, in quella quotidianità grigia e spoglia. Sono parole paradossali ma aveva ragione Pasolini quando scriveva in Umiliato e offeso: «Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare».
Bisogna, allora, ritrovare un'anima genuina, festosa e festiva, che conosca il fremito del bene, la gioia della vita, la pienezza dell'amore. Nel mondo in cui siamo immersi tutto milita contro quest'anima; talora persino in chiesa ci si trascina con un'anima scolorita per riportarsela a casa ancor più stinta. È la scossa del Vangelo che ci è necessaria per ritrovare la vera anima.
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