venerdì 23 luglio 2004
Nel Talmud è scritto che quando il bambino è nel corpo della donna una luce gli splende sul capo ed egli apprende tutta la Torah. Ma quando è giunto il momento di uscire all'aria del mondo, viene un angelo e gli posa le dita sulle labbra affinché dimentichi tutto. Come si deve intendere questo? Perché bisogna che impari prima tutto per poi dimenticare tutto? Abbiamo spesso esaltato la bellezza e l'importanza del ricordare, il "riportare al cuore". Essere smemorati non è solo una questione di Alzheimer, è spesso un male culturale di cui siamo tutti testimoni nei nostri giorni frenetici e distratti. Eppure è necessario anche dimenticare. Lo esige il perdono autentico, perché è solo un gioco di parole dire che si perdona ma non si dimentica: finché ricordi il male ricevuto, tu non hai pienamente perdonato. C'è, dunque, un oblio che è liberazione dalle catene della nostalgia, della recriminazione, del passato oscuro. Ma la bella parabola, sopra citata, dei Chassidim, gli Ebrei mitteleuropei, "i pii" per eccellenza, vuole suggerire un altro significato che lascio spiegare al prosieguo del testo: «Se ricordasse tutto, l'uomo penserebbe continuamente alla propria morte, non costruirebbe case, non intraprenderebbe nulla, non parlerebbe con gli altri, non amerebbe nessuno». Infatti, se noi avessimo già conosciuto tutti i segreti della vita nel grembo materno, sapremmo ogni successo e fallimento e soprattutto vedremmo già l'esito finale. Ecco, perché avere accanto anche l'angelo dell'oblio è un dono divino che ci permette di continuare a vivere, agire e sperare.
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