mercoledì 22 dicembre 2021
Nel grande, immaginifico bosco di alberi di Natale che colorano le città, trovo commoventi quelli allestiti al plurale, con il contributo della gente comune. Sono abeti molto alti, che abitano negli atri delle stazioni o all'ingresso dei centri commerciali, su cui le persone attaccano disegni, preghiere, poesie. Quasi sempre parlano di situazioni concrete: il lavoro che non c'è, la guarigione a rischio, un amore svanito. E colpisce come si guardi soprattutto agli altri, a chi ci vive accanto. Statisticamente, ma senza nessuna presunzione di scientificità, su dieci messaggi solo quattro mettono in primo piano se stessi. O forse una divisione non ha senso, è un artificio di teoria, perché parlando delle persone cui vogliamo bene in realtà sveliamo il nostro cuore e ci iscriviamo al gioco della libertà, dove vince chi condivide la sua con la
persona giusta. Di anno in anno mi piacerebbe incontrare gli autori dei messaggi, chiedere se le loro speranze si sono realizzate, se riscriverebbero le stesse cose. Perché un pensiero è importante nella misura in cui resiste alla scrematura del tempo, se riesce a volare dal piano basso dei bigliettini alla punta dell'albero e poi salire su, ancora più su. Fino a toccare le nuvole. Fino al cielo.
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