domenica 26 giugno 2005
Un uomo chiese a un monaco: "Che cosa ti insegna la tua vita di silenzio?". Il monaco, che stava attingendo acqua da un pozzo, gli disse: "Guarda giù nel pozzo! Cosa vedi?". "Non vedo nulla", rispose. Passò un po' di tempo e il monaco gli ripeté: "Guarda ancora! Cosa vedi?". "Ora vedo me stesso: mi specchio nell'acqua". Il monaco concluse: "Quando l'acqua è agitata, non si vede nulla. Ora l'acqua è tranquilla. È questa l'esperienza del silenzio: l'uomo vede se stesso!".
Semplice e illuminante parabola dei padri del deserto, uomini che conoscevano il valore del vero silenzio: qualsiasi commento risulta inutile tanto la scena è nitida nel suo significato simbolico. Vorrei, allora, sottolineare solo un tratto del racconto, quello che descrive l'acqua agitata nella quale non ci si può specchiare né è possibile che in essa si rifletta la luce del cielo. Ebbene, questo è proprio lo stato della nostra vita nella maggior parte dei casi.Siamo presi da tante cose, afferrati da preoccupazioni e frenesie. Come diceva san Giacomo nella sua Lettera, «bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite a ottenere, combattete e fate guerra» (4, 2). L'esistenza si trasforma in un tormento, si è sempre stressati e agitati e soprattutto si sente affiorare spesso il sapore amaro dell'insoddisfazione. Gesù nel discorso della Montagna per ben sei volte ripete: «Non affannatevi!» (Matteo 6, 25-34) per concludere: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta». E il regno di Dio è aperto a chi è semplice e sereno come un bambino (Matteo 18, 17).
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