venerdì 9 giugno 2017
Certi giorni, vi confesso, darei fuoco a mio marito. Con il kerosene. Le signore lettrici sanno di che cosa parlo. Poi passa.
Mia nonna il suo lo chiamava «il mio martirio». E anche il mio: «Come sta il tuo martirio?». Ci ridevamo sopra, e finita lì. Quella era davvero una generazione con i fiocchi.
Mi trovo per qualche giorno in una bellissima città d'arte siciliana, e vedo molte persone sole. Non ne ho mai visto tante: turiste e turisti, per lo più nordici.
Nel delizioso ristorante attiguo al mercato del pesce conto tre tavoli-single perfettamente allineati. Come se fosse un reparto a sé. Una donna e due uomini con la loro bottiglia di vino e la guida sul tavolo. Non esattamente il ritratto della felicità.
«Perché - mi viene voglia di dirgli - almeno non cenate insieme?». È assurdo, mi rendo conto. Forse c'è stato un tempo in cui sarebbe stato normale.
Tutt'intorno la festa delle famiglie siciliane. Tavolate chiassose, tanti bei bambini saraceni e normanni. Sì, lo so, non è tutto oro quel che luccica. Ho chiara la fatica. E i compromessi, i sacrifici e talora anche i soprusi, che vanno in ogni modo combattuti. Ma mi domando: la soluzione è questa? I tavoli per uno, la guida da compulsare in attesa delle monoporzioni, la piega amara sul viso di quella bella signora?
Ai nostri figli, oltre al lavoro fisso auguro un amore fisso. Con fantasie al kerosene.
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