giovedì 20 settembre 2012
«Trovavo in me un vuoto inspiegabile che nulla avrebbe potuto colmare, un certo slancio del cuore verso un'altra sorta di godimento di cui non avevo idea e di cui, nello stesso tempo, sentivo il bisogno (…) Ero penetrato da un sentimento vivissimo e da una tristezza attraente che non avrei voluto non provare». Jean-Jacques Rousseau descrive un suo sogno, che si presenta simile a uno stato di estasi. Racconta di una pienezza conseguita, un'armonia con tutto l'universo, e nello stesso tempo di un senso di mancanza di tutto ciò, una onirica consapevolezza che il sogno era effimero, pur se veritiero, e stava per svanire. Percezione e desiderio d'infinito. Filosofo e scrittore, sa rappresentare questa esperienza estatica. Che è però non infrequente, quasi sempre non riconosciuta, in ogni uomo. L'amore, una forte emozione positiva, la vista di un paesaggio o un luogo che ci smuove inaspettatamente, fanno nascere in noi istanti di pienezza assoluta, a cui spesso non si sa dare nome né collocazione. Ormai inesperto dell'anima, disabituato ad ascoltarla e accettarla nella sua scandalosa, miracolante libertà, l'uomo lascia che quel fuoco baluginante si estingua dileguando nell'oblio quotidiano. È necessario recuperare questa capacità di percezione dell'anima, non fanciullesca. Primigenia.
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