martedì 27 novembre 2007
Il senso dell'ironia è una forte garanzia di libertà.
Il filosofo danese ottocentesco Soeren Kierkegaard aveva ragione quando denunciava l'eccesso di ironia che, cadendo nel sarcasmo, riesce a uccidere, un po' come si fa col fegato delle oche di Strasburgo, ingrossato a dismisura per ottenere il «paté». Tuttavia, tenendo ben ferma la barra perché non si cada nell'eccesso dello sberleffo volgare e aggressivo, ha ragione anche lo scrittore francese Maurice Barrès (1862-1923) sopra citato quando, nella sua opera Sotto l'occhio dei barbari, esalta l'ironia come fonte di libertà. È indubbio che le tirannie non amano mai i comici o gli scrittori satirici e li reprimono senza tante storie.
Tante sono le osservazioni che si possono fare su questa qualità della comunicazione umana. La vera ironia è segno di intelligenza e di libertà e quindi deve colpire con criterio e fondatezza, senza cadere nella calunnia, nella volgarità, nella disonestà. Queste frontiere non sono sempre rispettate. L'ironia e l'umorismo devono, perciò, essere pungenti ma non ingiuriosi. Devono essere naturalmente pronti anche a correre i rischi propri di ogni accusa e soprattutto ad accogliere il contrappasso, qualora l'esistenza di chi li pratica non sia coerente. È solo ipocrita il comico che sbeffeggia i potenti e i ricchi e poi si fa sorprendere a bordo di uno yacht o all'interno di una villa faraonica. Ecco, allora, un'ultima nota importante: per fare ironia bisogna prima essere vivamente autoironici, pronti a riconoscere innanzitutto i propri tic, le falsità, le stupidità personali.
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